L’8 e 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati a votare su cinque quesiti referendari. Il primo, promosso da +Europa e da numerose associazioni civiche, punta a modificare in modo significativo una delle leggi più discusse del nostro ordinamento: quella sulla cittadinanza. Oggi ottenere la cittadinanza italiana è un percorso lungo e complesso, anche per chi vive e lavora regolarmente in Italia da anni. Il referendum propone di ridurre da 10 a 5 anni il requisito minimo di residenza legale per potervi accedere, aprendo una riflessione profonda sull’identità nazionale, sull’integrazione e sul ruolo dello Stato di diritto in una società in evoluzione.
Cosa prevede il referendum: la proposta concreta.
Il quesito referendario propone l’abrogazione parziale dell’articolo 9, comma 1, lettera f) della legge 91/1992. Attualmente, per uno straniero extracomunitario, servono 10 anni di residenza legale e continuativa in Italia per poter presentare domanda di cittadinanza. La norma è stata pensata per garantire un lungo periodo di “prova” prima di riconoscere i diritti pieni di cittadinanza.
Il referendum mira a ridurre questo periodo da 10 a 5 anni, riconoscendo che una permanenza più breve può già costituire un radicamento sufficiente nella società italiana. Inoltre, la cittadinanza ottenuta si estenderebbe anche ai figli minorenni.
Si tratta di una modifica che, se approvata, non introdurrà automaticamente una nuova legge (il referendum è abrogativo, non propositivo), ma cancellerà un vincolo normativo, lasciando al Parlamento il compito di ridefinire il quadro legislativo. Tuttavia, l’effetto politico sarebbe immediato e di forte impatto.
Perché nasce questa proposta? Le motivazioni del SÌ
L’iniziativa è frutto di anni di battaglie civili e politiche, portate avanti da chi ritiene che la legge attuale sia inadeguata ai cambiamenti sociali. Secondo i promotori, 10 anni sono un periodo eccessivamente lungo, che penalizza soprattutto giovani, famiglie e lavoratori stranieri che vivono in Italia da tempo, parlano la lingua, pagano le tasse e partecipano attivamente alla vita del paese.
La proposta ha una valenza inclusiva e democratica: riconoscere come cittadini chi è già parte integrante del tessuto sociale, pur senza ancora disporre dei pieni diritti civili e politici. Per molti bambini e ragazzi nati o cresciuti in Italia da genitori stranieri, la cittadinanza non è oggi automatica, neppure dopo il compimento della maggiore età, e ciò li espone a discriminazioni e limiti nei percorsi scolastici, lavorativi e professionali.
Tra i principali sostenitori ci sono +Europa, Radicali Italiani, il Partito Socialista Italiano, Rifondazione Comunista, Possibile e una rete ampia di associazioni come Italiani Senza Cittadinanza, l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) e diverse realtà impegnate nell’inclusione sociale.
Sul fronte politico, il Partito Democratico si è detto favorevole al principio, pur mantenendo un atteggiamento prudente sul quesito referendario. Il Movimento 5 Stelle e AVS (Alleanza Verdi e Sinistra) sostengono la necessità di una riforma organica della legge sulla cittadinanza e vedono il referendum come un’occasione utile per forzare il dibattito parlamentare.
Contrari al quesito sono i principali partiti di centrodestra: Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Le critiche si basano principalmente su due argomenti:
1. Timore di “facilitazioni eccessive”: secondo i detrattori, 5 anni sarebbero troppo pochi per garantire un vero processo di integrazione, aprendo alla possibilità che lo status di cittadino venga concesso a chi non ha ancora dimostrato un effettivo legame con il Paese.
2. Preoccupazioni sulla “tenuta sociale”: si teme che un allargamento massiccio della platea dei cittadini possa alimentare tensioni, soprattutto nelle periferie urbane dove la pressione sociale è maggiore.
Alcuni critici sostengono inoltre che una modifica così profonda debba avvenire in Parlamento attraverso una riforma organica, e non tramite referendum abrogativo.
Secondo stime dell’ISTAT e del Centro Studi IDOS, in Italia risiedono regolarmente oltre 5 milioni di cittadini stranieri, pari a circa l’8,5% della popolazione. Di questi, circa 1,3 milioni potrebbero essere interessati dalla modifica in oggetto, in quanto presenti da almeno 5 anni ma ancora privi della cittadinanza.
Oltre 800.000 minori nati o cresciuti in Italia da genitori stranieri sarebbero indirettamente coinvolti dal quesito, poiché la cittadinanza riconosciuta ai genitori si estenderebbe a loro.
Il limite di 10 anni per la richiesta di cittadinanza è uno dei più rigidi in Europa. In Francia, Spagna e Belgio sono richiesti 5 anni, in Germania 8 (ridotti a 6 in caso di integrazione particolarmente riuscita). Anche la Grecia ha recentemente abbassato i tempi a 7 anni.
Questo rafforza l’argomento secondo cui l’Italia è oggi un’eccezione negativa, e la riduzione proposta dal referendum la renderebbe invece in linea con gli standard europei.
L’esito del referendum resta molto incerto. Una delle principali incognite è il quorum, ovvero la soglia del 50% + 1 degli elettori, che se non raggiunta renderebbe il risultato nullo. Negli ultimi decenni, solo pochi referendum abrogativi hanno superato tale soglia.
Se approvato, il referendum aprirebbe comunque una fase di transizione legislativa: spetterebbe al Parlamento colmare il vuoto normativo e stabilire nuove modalità procedurali.
Il quesito sulla cittadinanza è molto più di una questione burocratica: è un passaggio simbolico e politico che tocca l’identità collettiva, l’inclusione sociale e la visione futura del Paese.
Votare consapevolmente su questo tema richiede informazione, responsabilità e una riflessione onesta su cosa significa oggi “essere italiani” in un contesto globalizzato. Per alcuni, si tratta di rendere più giusto e umano un sistema obsoleto; per altri, di proteggere l’integrità di un’idea di cittadinanza legata alla tradizione. In ogni caso, è una scelta che lascerà il segno.
Referendum cittadinanza 2025
Un’occasione storica per riformare l’accesso alla cittadinanza italiana
